Senza un milligrammo di zucchero.
La nuova terapia sta facendo meraviglie, dico. Ma figuriamoci, è la tua forza di volontà, altro che medicine, dice.
E' un amico, e intende farmi un complimento, e non è colpa sua se gli hanno messo in testa fin da piccolo che psicofarmaci brutti cattivi (corollario: terapista comprensivo e buono e fa pure vincere gli Oscar). Per cui non mi incazzo, o almeno non con lui.
Ma, seriamente, mi pare il caso di sfatare un mito: col cavolo che è solo forza di volontà, voglia di vivere e tutta la manfrina. E col cavolo, al quadrato, che i riferimenti alla tua grande forza di volontà sono dei complimenti.
Quell'ameba che quest'estate non riusciva ad uscire per più di mezza giornata alla settimana, quella fontana di lacrime a getto continuo che crollava in mezzo al tragitto tra il divano e il letto (e non viviamo al Castello di Versailles) perché le mancavano le forze, quella lì, insomma, questa qui presente scribacchina che ancora oggi fa un elenco mentale di tutti i metodi di suicidio nel raggio di cinque metri se le capita una fase "giù" - è sempre la stessa persona: la stessa, identica, persona che panifica ogni volta per un esercito, si gusta spudoratamente ogni boccone tanto da farsi notare dall'Itamae-san del suo ristorante giapponese prediletto (prima o poi la racconto), ride fino a cader per terra quando Cary Grant vede il secondo cadavere in Arsenic and Old Lace, ama con tutta se stessa il suo bellissimo marito. La stessa persona, per inciso, che si trova in dotazione un istinto di sopravvivenza temprato da due linfomi e varie sfighe collaterali e che quindi pare Arnold Schwarzenegger (meno l'accento e le accuse di molestie, è un istinto a modo).
Non è che quest'estate (o in qualunque fase depressa della mia vita) io mancassi di forza di volontà e quindi stessi male: mi sti incolpando della mia malattia? E non è che ho voluto tanto tanto guarire e - meraviglia! - la depressione è passata: altrimenti non sarei stata depressa per più di un giorno: o mi stai dando dell'idiota autolesionista?
Semplicemente: ho una malattia, cronica ma trattabile. Recentemente, insieme a un paio di dottori, siè più o meno capito come trattarla (non è banale trovare la terapia giusta, è anche questione di fortuna - di nuovo: fortuna, non volontà). La tratto come merita. Provate ad andare a dire a un asmatico "oh, che bravo, hai smesso di respirare come Darth Vader": vi prenderà per scemo nel migliore dei casi, vi tirerà in testa il suo inalatore nel peggiore. (Potrebbe mettersi a ridere scatenando un altro attacco d'asma - e via di circolo vizioso. Dicevamo.) L'unica dote che mi potrei riconoscere è aver accettato il fatto di curarmi: ma dato che l'alternativa era palesemente suicida (anche in senso letterale, ma non solo) vi rimando a quanto detto sul mio istinto di sopravvivenza.
E già che parliamo del trattare le proprie malattie, vediamo di affrontare la Domanda Terrorizzata: ma sono medicine pesanti quelle che prendi? Ma stai attenta?
La tirata sull'aspirina che può ucciderti (per tacer della noce moscata) la sapete già, immagino, quindi ve la risparmio.
E' che la Domanda, prima ancora che Terrorizzata, è mal posta: come sanno bene i cardiopatici, i diabetici, gli asmatici e - beh, altri esseri umani che fanno i conti con condizioni croniche (ma non necessariamente finiscono in -tici) e girano con un portapillole al seguito. La domanda vera è: gli effetti collaterali sono meglio o peggio della malattia? Cambiando terapia potresti migliorare? Tutto lì: un banale problema di colonna dei più e dei meno.
La risposta, per inciso, è: sto mettendo su qualche chilo (ma non escludo che siano state le feste), ho la pressione un po' sotto i tacchi, riesco di nuovo a uscire di casa e camminare per ore e penso di avere un futuro oltre la mezza giornata. Pare che valga la pena di mandar giù quelle tre pastiglie al giorno (più altre due catalogate sotto la voce "altre sfighe"); se ci sarà una cura migliore si vedrà (penso) dopo gli esami dell'anno nuovo.
Ma ripetendo medicine bruttecattive non illuderti che bastino occorre anche tanto lavoro su di sé o variazioni sul tema non mi aiuti: aumenti solo un po' lo stigma sociale associato alla mia condizione (che, sei sotto psicoformaci? sì, oppure te ne accorgeresti), l'idea che io abbia qualcosa da espiare con il sudore della fronte (e ore di lettino). Quanto agli effetti collaterali delle medicine (compreso il prescrivere medicine a raffica: che però è un problema molto statunitense e poco europeo, a quanto mi risulta), me li gestirò - o chiederò una mano se necessario.
Parafrasando quanto si diceva qualche tempo fa: alcuni sopravvivono mandando giù delle pillole. Get over it.