mercoledì, agosto 15, 2007

Il nonno, gli stupidi e la carriola.

Verso la fine degli anni '20 il padre di mio nonno si trovò a gestire un dopolavoro fascista. Il nonno specificava sempre: "si doveva chiamare così, dopolavoro fascista; ma lì dentro erano tutti socialisti - c'erano un paio di fascisti, ma eran due stupidi [per mio nonno "stupido", detto con quel tono lì, con quell'inflessione lodigiana, era l'insulto peggiore del mondo], nessuno poi li prendeva sul serio". Il dopolavoro era in posizione strategica: a metà strada tra la Breda e la Pirelli. I tornitori "venivano in giacca e cravatta", e mio nonno avrebbe voluto diventare uno di loro. Il sabato sera gli operai delle due fabbriche si bevevano una certa parte dello stipendio, e scoppiavano risse: mio nonno raccontava di come le donne e i ragazzini venissero spediti su al secondo piano, e quella che oggi nei locali fighétti di Milano chiamano "security" venisse lasciata nelle capaci mani dello zio. "Lo zio" era lo zio che lavorava all'altoforno, quello che quando gli avevano detto di far la tessera del fascio aveva diplomaticamente risposto "vengano a chiedermelo dove lavoro". Il nonno non è mai sceso nel dettaglio di quel che facesse lo zio per riportare la calma tra gli ubriachi: ma mi ha sempre colpito come uno strumento fondamentale fosse la carriola, "così non finiscono nei fossi tornando a casa".

E' ferragosto, son a casa con l'influenza, ennesimo accidente di salute di quest'estate; il mondo resta pieno di stupidi (io quell'inflessione non riesco ad averla del tutto, ma ho sposato un tale che ce l'ha) che cercano di far partire risse - e anche di gente in gamba, con e senza carriole. Ma diamine se mi mancano i racconti di mio nonno.

(La prossima volta, se mai: come mio nonno non fece mai il tornitore, ma anche grazie a una bronchite finì ad arrotondare facendo il giocatore di poker di professione e vinse a Macario diecimila lire.)

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