lunedì, giugno 04, 2007

Burocrazia dell'attacco di panico.

Allora, cosa succede se dopo dieci minuti della tua unica possibilità per fare un esame inizi ad essere disorientata tanto da pensare di poter cadere dalla sedia, a non riuscire più a leggere e a vedere tutto il mondo lontaaaaano? Oltre a pensare che il tuo cervello ha in sé un'alternativa autarchica alla cannabis, intendo.

In Italia, esci dall'aula e speri di stare simpatico al docente che corregge il tuo esame o a qualcuno che conosce qualcuno che ha potere sul docente che corregge il tuo esame.

In Inghilterra, segui le procedure che ti sono state spiegate. E ti affidi alla burocrazia.

Alzo la mano. La sorvegliante dell'aula chiama un altro sorvegliante. Lascio il mio banco, passando tra i banchi altrui - con un capogiro di prima classe, ricordo - ed esco dall'aula accompagnata dal mio chaperon. Vado a sciacquarmi la faccia.

La situazione non migliora, e decido di comunicare che ho un attacco di panico o qualcosa che ci assomiglia molto. Ora, i miei attacchi di panico hanno varie forme, soprattutto da quando sono tenuti a bada con composti chimici: ma tutti hanno in comune il fatto che non riesco più a parlare. Al più, tartaglio. Molto. Quindi l'effetto è

(Chaperon) "If you want, I can call the Student Service Centre. You can continue the exam later in the day." (RdM) "O-o-oo-oh y--yy-ye--yes I-I-I-I'd r-rr-rrr-rath-athe-ther t-tt-to. Tt--th-th-thanks." (sorriso)

Lo chaperon avverte la sorvegliante dell'aula, che segna quanto tempo ho usato delle due ore che avevo a disposizione per l'esame. Poi mi lascia su una seggiola in un corridoio, e fa una telefonata. Dopo cinque minuti arriva una chaperone che mi accompagna in Segreteria Studenti.

A questo punto, l'attacco è tale per cui anche le mie gambe non funzionano benissimo. Quindi il tragitto dall'aula dell'esame alla segreteria da tre minuti diventa di quasi dieci: ma ce la facciamo.

In un delizioso salottino della segreteria studenti, con un bel mazzo di fiori sul tavolo e una libreria piena di romanzi (ho notato Captain Corelli's Mandolin e due copie di The Curious Incident of the Dog in the Night-time), la segretaria addetta a questo tipo di emergenze mi chiede cos'ho, se ho bevuto troppo caffé (no), se sono sotto farmaci (sì), se sono registrata presso il Disability Office (sì), se voglio continuare l'esame più tardi (certo, sono testarda). E riempie un modulo. Ah, io sto continuando a balbettare, e l'effetto è vieppiù quello di Michael Palin in A Fish Called Wanda. Ciliegina sulla torta, inizio ad avere un freddo barbino.

L'orologio della segreteria segna le 12. Sono passate due ore dall'inizio dell'attacco, che ringrazio per il lieve senso di irrealtà con cui ha dipinto il tutto: ogni secondo è durato secoli di rotazioni della stanza, ma i minuti e le ore sono volati. La chaperone mi chiede cosa vuole che mi prenda in mensa. Io, che finalmente non balbetto quasi più, butto lì un "posso accompagnarti, così faccio quattro passi?" ma non posso: potrei comunicare con qualche collega e chiedergli come risolvere l'esame, o qualcuno potrebbe pensare che io potrei, e soprattutto le procedure non lo prevedono. Dopo cinque minuti, mi arriva un panino di gamberetti e maionese (l'opzione più leggera, al dunque), il mio té verde (caaaaaldo, grazie), una lussuosa barretta energetica del commercio equo e solidale (95p. di carica, ne ho bisogno - gli attacchi di questo tipo sono una faccenda estremamente pesante, da un puro punto di vista fisico), e il resto dei 5£ che avevo dato.

Mi rendo conto che il marito sta aspettando mie notizie! E ovviamente il mio cellulare è nell'aula dell'esame. Chiedo cosa posso fare alla chaperone: lei chiede alla sua superiore che dice che chiederà alla sua superiore. Mi sento un bullone sul ponte di uno Star Destroyer, con la Imperial March in sottofondo.

Ore 13:30, il pranzo è finito e si va dal dottore. La dottoressa ha un golfino appeso sulla porta, io ho sempre un freddo barbino. Con la mia migliore faccia tosta, le chiedo di prestarmelo per il tempo della visita. La dottoressa scuote il campo, mi passa il golf. Poi mi guarda cinque minuti, mi chiede se soffro di qualcosa e cosa sto prendendo e da quanto e se ci sono effetti collaterali, e mette la sua firma sul suo modulo. E si riprende il suo golfino.

Sono le due, e mi dicono che ho un'altra faccia. E posso anche chiamare il marito. Dal telefono della segreteria, e parlando in inglese. Il risultato è la telefonata più surreale della nostra relazione - come può testimoniare la segretaria deputata ad ascoltarla.

Tra le 14:30 e le 14:45, distruggo quel che c'era da distruggere dell'esame. Poi consegno, passo un corridoio, scendo due scale - quando esco su Aldwych sto piangendo a dirotto: una crisi a tutto tondo come non ne avevo da tempo.

In un lampo di lucidità mi dirigo al Disability Office. La meravigliosa segretaria mi mette in mano un box di Kleenex e un bicchiere d'acqua, e mi fissa un appuntamento con la counselor per la settimana dopo, per sviscerare i segreti della lettera di "mitigating circumstances". La counselor si prende anche cinque minuti per mettermi in condizioni di andare a casa - mostrandomi il suo porcellino scacciastress, e in quel momento avrei potuto giurare di non aver mai visto qualcosa di più divertente.

Il giorno dopo mi arriva una lettera dalla segreteria studenti in cui mi spiegano come scrivere una lettera di "mitigating circumstances", e si dicono a mia disposizione per ulteriori informazioni.

(La lettera la devo ancora scrivere. Ora sono impegnata a passare gli esami che restano: il prossimo, se Dio vuole, è venerdì tra le 14:30 e le 17:30 - più mezz'ora di "rest time" per noi "bambini speciali". Poi: 13 mattina, 14 pomeriggio, 18 mattina. Poi, poi.)

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