27 ore e mezzo (recap).
Come dicevo poco sotto, sono reduce da una settimana interessante. Per chi si chiedesse dove sono sparita, un post sul mio ombelico.
Mercoledì e giovedì c'è stata la combine "due esami in due giorni" - esami per cui mi sono preparata tra domenica e giovedì mattina. Riconoscenza oltremisura a Stefano per avermi sopportato mentre sbollivo i postumi del primo, e un grazie anche all'entità cui il compito pertiene per averci fatto trovare un posto da Food For Thought (ristorante veggie, piuttosto hippie, ottimo ed economico, verso metà di Neal str.) alle 13:20.
Giovedì sera, reduce dalla maratona, da un mezzo secchiello di ali di pollo Tesco-Mex e da una mezza bottiglia di Leffe, controllo la posta. C'è una lettera che, tradotta, suona come "idiota, la scadenza per quella borsa di studio è domani, non a luglio come ti sei scritta sul post-it". Nelson sulla sua colonna dice che va bene essere un marinaio, ma un fraseggio così gli darebbe anche un po' fastidio. Riesco a mandare una mail di scusascusascusascusascusa al Teutonico, prima di crollare a vedere Howl's Moving Castle - qualunque altra cosa richiede troppo alle mie facoltà. Il Teutonico risponde - alle undici meno qualcosa - che la mattina seguente manderà una mail di raccomandazione all'ufficio di competenza.
Venerdì inizia alle sette con la scoperta che il bollitore non va: quindi niente té. Ingollo due gallette di riso e il mio bicchierone d'acqua mentre compilo 14 pagine 14 di domande sulla mia vita, la mia situazione finanaziaria, di quanto era la borsa di studio che ho incassato quando ancora c'erano le lire, che numero porto di scarpe. Più trattatello su "cosa voglio fare" "perché dovete sganciare soldini a me" completo di conteggio parole. Intanto vado alla ricerca di uno straccio di prova che mi permetta di mungere la mia recente diagnosi (e che diamine, uno straccio di compensazione di 'sta ennesima pagina della mia cartella clinica da dieci chili). Il dottore ha chiuso lo studio di venerdì, la capa del disability office è in ufficio funo alle 11:30. Sono le dieci, sono in pigiama, per arrivare in università ci vuole un'ora e devo anche ricaricare la Oyster; ma riesco a farmi lasciare il mio documento dalla counselor di turno. Che quando finalmente arrivo (passando accanto a tre fanciulli che festeggiano l'ultimo esame - qualcosa sulla comunità europea - scolandosi una bottiglia di champagne a stomaco vuoto, e facendone bere metà al marciapiede) è a mangiare. Mi coccolo con una pie vegetariana di Eat, vado a chiedere ulteriori lumi su come compilare la domanda al meglio rimanendo anche chiusa per mezzo minuto nell'ascensore del dipartimento, ritrovo la counselor, faccio altre rampe di scale (la LSE è un labirinto meraviglioso, meglio di un ospedale, se qualcuno ci ambientasse un inseguimento farebbe una gran cosa), consegno la domanda ben tre ore prima della deadline. Poi cerco di studiare, ma mi rendo solo conto di quanto non so. Anche con un po' di cioccolato e té non va meglio. Mi avvio verso casa.
Ma una giornata così non può dirsi conclusa senza... un mezzo svenimento in Charing Cross Station! Con cui vinco un'ora di lettino nell'infermeria locale, una bottiglietta d'acqua gentile dono delle National Rail, e un capostazione che si informa via radio del treno per casa mia. Sul detto treno apprendo dal giornale gratuito che il Pride London si concluderà con qualcosa che mi manda in sollucchero: ma su questo, un altro post.
A casa crollo a dormire alle undici, e a parte una piccola interruzione mattutina per altre due gallette di riso e un bicchierone di succo di pompelmo continuo a dormire fino alle sei di pomeriggio di sabato. Pranzomerendacena, mandato giù con un Doctor Who di cui perdo i primi dieci minuti ma non John Barrowman in: pantaloni con la riga! maglietta bianca! bretelle! che lavora di fatica! (fondamentalmente: pornografia). Poi il sonno riprende il sopravvento.
E ora: in 27 ore e mezzo, prepariamo un esame di matematica discreta. Come diceva Rosie: We can do it!
E poi, poi.