venerdì, novembre 11, 2005

C. e la riforma.

Dal lunedì al venerdì, C. si sveglia alle sei e mezza. Va in ufficio dalle nove alle cinque. La sera, studia. Nei weekend, studia. E trova pure il tempo di dare una mano (gratis) per un paio di cause a cui crede. Ah, sì: C. vive da sola, nella casa che si mantiene con i soldi del suo lavoro. Le ultime vacanze di C. sono state "andare a far ricerca sul campo per la tesi". C. è all'ultimo esame. Lo sta ripetendo a raffica da un anno e qualcosa - un anno in più di tasse, un anno in più di mezzi pubblici (senza agevolazioni per studenti, ovvviamente: perché per l'AziendaTrasportiMilanesi gli studenti lavoratori non esistono), un anno in più di salti mortali con i capi per poter prendersi un giorno per andare a fare l'esame (quando invece altri hanno organizzato una tre giorni romana per i funerali di Woytila non ci sono stati problemi: ma passiamo oltre), last but not least un anno in meno per fare cose che le interessino di più. C. ripete l'esame, dice, un po' perché è un esame duro, un po' perché è impossibile sapere esattamente quale sia il programma. C. vorrebbe che la docente le suggerisse due testi in più per recuperare quel che non sa non avendo potuto seguire le lezioni (l'ufficio dalle nove alle cinque, ricordate?); la docente dà un solo programma per frequentanti e non. (Parentesi autereferenziale: Ecco, C. è una degli esseri umani che stimo di più nella vita. Punto. Non è un genio, non è una compagnona irresistibile (anche se a volte ha uscite che ti fanno rotolare dalle risate per due giorni). È una a cui ti affideresti a occhi chiusi, e una che non vorresti mai deludere. È una a cui non starai mai dietro. È la quintessenza del tipo umano alla cui altezza la qui presente scribacchina (figliadipapà nonostante tutti i suoi sforzi in senso contrario) non si sentirà mai; e incidentalmente è anche una che non se la tira per più di un picosecondo. Fine della parentesi.) C. mi sembra la quintessenza dello studente universitario per cui la sinistra (se non chiunque desideri che il mondo diventi un po' migliore) dovrebbe battersi. Per cui la sinistra mi aspetto che si batta. In un Paese decente. In una sinistra decente. (Sinistra...? Do you remember? Quella dei diritti dei soggetti più deboli? Di quelli che hanno solo catene da perdere e il mondo da guadagnare? Sì? Sinistra? Eh?) Poi uno si stupisce vedendomi incazzata come una biscia alla lettura di questo, sentendomi andare avanti per ventiquattr'ore a borbottare "La tua riforma? La tua [censura] mentale, [ari-censura], ma [suggerimento di attività di difficile attuazione dal punto di vista geografico e fisiologico, da attuarsi con suddetta proposta di riforma]...". Ora, forse sono io in cattiva fede: ma a me le proposte del tazebao qui sopra linkato suonano terribilmente come "Vogliamo farci i cazzi nostri spesati dal pubblico a vita". Il che mi sta anche bene: se hai quindici anni, l'ormone rampante, e la vicina di banco con l'ombelico fuori che esce con Tafano ma non con te. Ma, diamine, sei all'università. Ti prendi la responsabilità di fare politica. Cazzo, cresci. Guarda il mondo fuori dalla tua cameretta. Vedrai che è bello, anche se devi mettere in lavatrice le tazzine di caffé che hai bevuto senza aspettare mamma. Vedrai che è pure divertente. Vedrai che è quasi esaltante, quando riesci a ottenere qualcosa per merito tuo. Merito, sì. Non genio, non perfezione, non essere-sempre-sfolgorante[1]: fare abbbastanza bene da ottenere qualcosa con le tue forze, ogni tanto. Per un esempio, puoi sempre dare un occhio alla faccia raggiante di C. quando ha trovato un nuovo documento per la sua tesi. [1] Se c'è qualcosa che mi dà fastidio quasi fisicamente nella riforma Moratti è la separazione dei percorsi di studio, quel meccanismo per cui se a quattordici anni hai deciso di fare il tecnico (per mille ragioni: compresa magari la maturità di riconoscersi poca voglia di studiare - come se al tecnico si studiasse necessariamente poco, poi...) sei tutta la vita di seconda classe. Se invece hai fatto latino, eh, allora sei naturalmente un fine intellettuale. Ma va' a da' via i ciapp, sciura Letìzia.

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