Giovedì ce la siamo presi comoda: un po' di shopping da Urban Outfitters e da Barnes & Noble (ho il Black Dossier della League of Extraordinary Gentlemen, strepitoso, e Guns Germs and Steel in originale) qui a New Haven, quattro passi per la città, una cena con una bisteccona gigante e una montagna di patatine fritte - ma niente torta di mele (e il locale era ben più raffinato di quelli frequentati da Tex Willer e Kit Carson).
Venerdì, giornata intensa. No, non siamo andati a Harlem - ma abbiamo comunque preso quella linea di metropolitana, e io canticchiavo impercettiblimente.
Ma con ordine: dopo aver iniziato il quarto* della compagnia, detta anche la mia mamma, alle gioie del frappuccino, ci siamo deliziati con il Guggenheim. In particolare l'esposizione dedicata a(l restauro de)l Black Painting di Al Reinhardt ci ha lasciati a bocca spalancata per mezz'ora buona (ed era solo una stanza!); la collezione permanente è prevedibilmente splendida. Quanto alla pubblicizzatissima Louise Bourgeois, mi hanno colpito moltissimo le cell (degli spazi delimitati in cui si intravedono scene surreali) e la forza delle sculture di mani intrecciate; ma i lavori meno recenti mi hanno lasciato completamente fredda (o, in alcuni casi, proprio annoiata).
Dopo il Guggenheim ci siamo ristorati in un localino franscese, De Marchelier - io ho affrontato e sconfitto un croq monsieur che nulla aveva da invidiare ai suoi parenti parigini, sorseggiando un ottimo sidro.
E poi, finalmente, il Whitney museum! Con la straordinaria mostra su Buckmister Fuller, un uomo con una testa avanti cent'anni almeno. Di lui conoscevo solo le cupole: ora so anche delle sue case futuristiche (in cui non mi dispiacerebbe abitare), delle sue macchine efficienti, della sua visione della spaceship Earth e del suo lavoro per rendere il mondo più consapevole e responsabile di se stesso. Il Whitney ci ha anche permesso di vedere una retrospettiva di polaroid di Mapplethorpe (le sue prime foto - già perfette), alcune opere di un artista contemporaneo (Paul McCarthy) che ci hanno messo non poco a disagio (mettiamola così: non la mostra per un epilettico, con tutte quelle rotazioni e quelle luci lampeggianti), e - last but not least - la collezione permanente. In questa, raggruppati per tema e non in ordine crononlogico (scelta bellissima), ci sono un paio di O'Keefe e due Hopper che da soli varrebbero la visita.
E poi siamo crollati? No.
Poi abbiamo attraversato Central Park, fermandoci alla fontana di Bethesda (e con la Federal Plaza del primo giorno siamo a due location di Angels in America) e ai memoriali di John Lennon (sì, .mau., ho fatto le foto).
Poi abbiamo visto il grattacielo del New York Times e un grattacielo multicolore incredibile che gli sta accanto.
Poi abbiamo sfiorato il Greenwich Village - non ho fatto in tempo ad andare a vedere lo Stonewall Inn, ma ho visto Cristopher Street.
Poi abbiamo cercato di vedere Washington Square, la piazza preferita dell'Augusta Genitrice - ma era bloccata dai lavori in corso.
Poi, spaghettoni da Noodle Bar nel Lower East Side. Favolosi.
Poi una corsa in taxi da cui abbiamo intravisto la sede delle Nazioni Unite.
Poi a casa.
Oggi, invece, volevamo fare un po' di Fifth Avenue e vedere il MoMA. La stanchezza ci ha fatto partire tardi; la pioggia torrenziale ci ha inzuppato fin nelle mutande (nonostante gli ombrelli) e ci ha chiusi da Banana Republic in cerca di qualcosa di asciutto. Siamo tornati a casa presto senza aver visto il MoMA e avendo visto la Fifth dietro una cortina d'acqua. Ma è stato divertente, a suo modo - e ci ho guadagnato una gonna molto verde.
Domani giornata calma. Io spero di riuscire a fare il famoso brunch con french toast, ma chissà.
* fino a domani è con il consorte e la qui presente scribacchina il fratello del consorte.