Ma il problema è l'Alka-Seltzer.
Da qualche tempo la qui presente scribacchina si trova ad assumere una sostanza letale.
Va bene, ne prendo una dose per cui al più ho la bocca secca e le gambe che tremano un po', e quest'ultimo effetto dovrebbe passare (e spero passi in fretta, ché qui ci sono degli esami da passare e a letto si finisce sempre a lasciar da parte i libri e a finire a scrivere post - appunto): resta il fatto che quando il dottore ha iniziato a prescrivermela ha convocato la qui presente e il gentile marito per una lezioncina di un'ora su "se la signora inizia a dormire troppo o vomitare andate subito in ospedale a controllare che la concentrazione nel sangue non sia oltre i limiti, e mi raccomando niente prole finché dura il trattamento".
Ora, la qui presente e il marito vivono in un Paese in cui gli antidolorifici "da banco" si trovano al supermercato. Quella cosa che in Italia è vista con orrore, ché porta la gente a mandare giù Alka-Seltzer come fossero mentine e a strafogarsi di aspirina (ovviamente con la CocaCola, e tra dieci minuti voglio vedervi tutti in acido). Tant'è vero che per procurarmi la mia sostanza io
- porto al farmacista la ricetta in cui il medico ha scritto principio attivo e dose - giorno per giorno
- mostro la mia tesserina che dichiara che sono in cura con quel principio attivo lì
- mi sento un ripasso della lezione di cui sopra mentre il farmacista prepara
- la dose esatta, giorno per giorno, di quello che devo assumere,
- lo mette in una scatolina su cui scrive il mio nome e la dose che devo assumere, giorno per giorno.
Ho appena sentito mia madre, ha ritrovato e buttato via quel che è avanzato dall'antidepressivo che prendevo quando ero in chemioterapia, dieci anni fa.
Ovviamente, nulla in confronto ai rischi dell'Alka-Seltzer.