Incubi.
Amore, ho avuto un incubo terribile. Ero in una varietà non orientabile e dovevo trovarne il gruppo fondamentale. Beh, tu non hai mai sognato un programma che si incazza con te perché c'ha un bug? Ah, vero, non hai il mio inconscio. (Era davvero un incubo terribile. Dovevo andare in un posto con il fiancé, ma lui non riusciva a salire sul treno del metrò su cui ero io. Lo aspettavo per un po' alla fermata successiva...) Amore, mettiamoci d'accordo se ci si perde di vista a Berlino. Sì, certo, Totò e Peppino. (...poi deciedevo di prendere un ascensore accanto a cui avevo visto armeggiare senza successo una miss ce l'ho solo io e pure d'oro a cui ai tempi avevo fatto tutorato di algebra e che l'ultima volta che ci siamo viste ha quasi fatto finta di non vedermi. L'ascensore era lercio ma funzionava; però non aveva i numeri dei piani. Io schiacciavo un bottone che mi pareva ragionevole e scoprivo che (a) il piano richiesto era più o meno il trentesimo sopra il suolo (b) l'ascensore era di garza (c) l'ascensore era un esercizio sul teorema di Seifert-vanKampen. All'inizio non perdevo la calma; poi mi trovavo sospesa davanti al trentesimo piano di un grattacielo, con l'ascensore che si stava rompendo sotto di me e io dovevo uscirne prima di sfracellarmi al suolo e iniziavo a innervosirmi. Mi accorgevo che in una stanza dentro il palazzo c'era mia madre, e le chiedevo una mano. Lei non aveva molta voglia di aiutarmi, visto che stava leggendo un libro e aveva anche da badare a mo' di infermiera alla più stronza delle mie ex compagne di corso, la quale era impazzita e delirava come Lucia di Lammermoor nell'ultimo atto, ma volendo suicidare me e non se stessa. Alla fine riuscivo a uscire dall'ascensore e lanciarmi nella stanza del palazzo con mossa degna di Indiana Jones nella tomba azteca. Scendevo a piano terra, con le scale, e trovavo anche il fiancé. Ma che fatica.) Che fai, Zef, sghignazzi?