Una prece.
"Tutto il mondo prega per il Papa." Gli atei non ce li vedo molto, a pregare, e così anche gli agnostici. Poi ci sono quelli che il Papa non l'hanno nemmeno sentito nominare, o ne hanno una vaga idea, o ancora non gliene importa molto: quanti di voi sanno dirmi qualcosa dello scitoismo a parte "ehm... Giappone, più o meno"? Non vedo perché non debba valere anche il viceversa, almeno in parte. Prendiamo anche solo il piccolo sottinsieme di mondo detto cristiano, va bene. Facciamo finta che all'interno di questo il porgere l'altra guancia e tutto questo genere di cose siano pratica diffusa e naturale, o che il pontificato di Karol Woytiła sia ammirato e rispettato all'unanimità senza batter ciglio. Ecco, prendiamo questo simil-mondo - che, a quanto mi è dato di vedere, è il mondo in cui vive una buona parte dei giornalisti italiani. Ma anche in questa utopia (o distopia, forse) mi piacerebbe pensare che le preghiere siano qualcosa di delicato. Di estremamente intimo, e non uso il termine a caso. Puoi condividere le preghiere con qualcuno, ma è un atto di estrema fiducia. Dire di pregare per qualcosa è esporre una parte di se stessi molto profonda. Si può fare: per una causa altissima (sto pensando a Martin Luther King), o in preda a un sentimento davvero incontrollabile. Ma di fronte a una causa altissima - o a un sentimento così forte - un minimo sindacale di pudore dovrebbe scattare anche al giornalista più cinico. (No, eh?) E se non scatta, ecco il mio sentimento incontrollabile, la mia piccola richiesta - molto, molto terrena. Per piacere, signori sconosciuti, non ditemi se e cosa sto pregando. Chi lo deve sapere lo sa già. Grazie.