domenica, settembre 30, 2007

There and Back Again.

Un po' di ore di sonno ma soprattutto l'idea di potersi prendere un pomeriggio tutto per sé recuperate, cinque chili in più (sulle tette: no comment), una valigia nuova in cui ci sta il mondo (non letteralmente, non ci sta la valigia stessa, ché le varietà non orientabili non van bene per fare i bagagli), troppe persone che non siamo riusciti a salutare (speriamo che abbiano voglia di passare un finesettimana a Londra), molte chiacchiere piacevoli con chi siamo riusciti a vedere (erano anni che non passavo una giornata con mia mamma), una camicia e una leccornia (la neonata rosmarina - salsina a base di bianchetti e peperoncino per la pasta) dimenticate dai miei genitori, un po' di vestiti e libri recuperati (compresa una giacchetta di lana made in Iowa caldissima e Stranger in a Strange Land), finalmente abbiamo a casa anche le ultime due padelle della lista nozze (e vai).

E mi sono dimenticata come fosse aver paura di prendere l'aereo.

[E ora: a ronfare prima di affrontare Le Lavatrici.]

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martedì, settembre 25, 2007

Vacanza.

Per la prima volta dopo troppo tempo riesco a leggere, dormire senza incubi e mangiar dolci.

E non far progetti senza preoccuparmi, ma solo tirando il fiato con gran calma.

Non ho nemmeno il problema di "perdere l'allenamento a studiare": al più si vorrebbe perdere l'allenamento a star male (non ce l'ho ancora fatta: ma pian piano parrebbe andare un po' meglio).

Torno da Lyra che si sta per svegliare, mentre sto per appisolarmi.

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lunedì, settembre 17, 2007

Melodramma e malattia.

L'altro giorno, convinta da una copertina che non fosse Quella Del Film (come quella che ho lasciato a Milano) ma presentava una splendida foto di ragazza, ho comprato una copia di The Hours per la casa.

Ma chi diamine voglio prendere in giro: avevo una fase di "piangiamoci addosso".

Solo che per il "piangiamoci addosso (noi donne che soffriamo più e meglio degli uomini*)" va benissimo il film: la cui proiezione passai a lacrimare dalla seconda riga della lettera di Virginia** a due minuti dopo la fine dei titoli di coda, giovane e appena uscita da una depressione (più o meno, non andrei sul tecnico in questa sede) come ero. Perché il film (ma non l'ho visto di recente, mi appoggio solo al ricordo delle tre volte e mezza che l'ho visto - cinema, dvd, dvd a scene, dvd) è melodrammatico, e ti scatena il diluvio oculare come manco un "Vissi d'Arte" cantato dalla Callas: la musica di Philip Glass, le Grandi Attrici (e Santi Numi quanto son brave, la Kidman poi è - ovviamente - ancor più bella a non esser troppo bella), il Dramma dell'Artista Immortale Ispirato, le Alate Parole delle Scene Madri - ecco, appunto.

Appunto. Il libro di Cunningham è una continua distruzione dell'idea di scena madre. Tutto è una scena madre, nulla lo è: i suicidi degli artisti sono un susseguirsi di dettagli ordinarî (pescatori, pietre, scale, porte); le minuzie di una passeggiata (la coppietta, il signore con il cane) sono un mondo di profondità ed esaltazione lirica - tant'è che in tutto il libro il desiderio di Virgina per life; London è tutt'uno con la cupio dissolvi del suo suicidio - e con il suo esatto opposto, con la speranza di una vita lunga e sana.

E poi: per Cunningham l'ispirazione e l'immortalità degli artisti (e, in generale, dei "sensibili") è perennemente minata dal dubbio. L'ispirazione è forse una forma di malattia mentale: ma privata di ogni romantico "genio e follia divina", la capacità di alienare il mondo e distruggere vite (e quindi anche opere in potenza) è la caratteristica principale del sentire gli uccelli che cantano in greco antico. Il fallimento incombe in ogni istante delle vite di chi ha scelto l'arte ("I've failed" dice Richard evocando il "they all have failed" di Virginia) tanto quanto nelle vite di chi ha scelto l'ordinarietà (ma quanto è ordinaria, appunto, se costellata di luci accecanti, di sentimenti paralizzanti - magari nascosti in una camicia blu da quattrocento dollari? quanto una Mary Krull è estrema, nel suo essere una perfetta immagine di bulldyke da manuale?): e il fallimento, anche degli artisti, non è mai un fallimento eroico: è un fallimento ordinario quanto una torta glassata male; è una catastrofe che trascina con sé il dolore della famiglia (la lettera per Leonard e quella per Vanessa, la veglia delle quattro donne al posto del party) ma non tocca il resto del mondo.

E, al dunque, il dolore: il dolore del film è un tentato suicidio con CGI e musica di Glass (bella, eh, ma che non tace un istante, eh), una scena madre alla stazione che spiega ben bene i sintomi di un mixed state manco fosse il DSM-IV (no, qui son cattiva io, non credetemi troppo, faccio la cinica perché - beh, lo immaginate da voi: ma resta una scena sopra le righe); è un attore da Oscar truccato a modo da icona di morente di AIDS. Il dolore del libro sono i brividi dati da una sedia che puzza di morto che continuano mentre la bellezza e la felicità di un ricordo o di un mazzo di rose già si sovrappongono, e poi abissi di dubbio che si chiudono e si aprono e lasciano vuoti di ore (appunto) a tratti pronte a risucchiarti nell'angoscia a tratti riempite di vita - complessa e profondamente grezza, anche nei momenti di luce più accecante, contraddittoria e ironica, dell'ironia che emerge ai funerali*****, impacciata e a tentoni - non certo una scena madre da Oscar.

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Tagliando la recensione, va' là: ho preso il libro, l'ho finito in tre giorni amando ogni parola, riuscendo pure a chiudere una bordata di pratiche burocratiche nel frattempo; ma non ho ancora trovato il tempo di scrivere un post che volevo, su un bugiardino che sta facendo morir dal ridere me e il marito in questa settimana in cui devo prendere quella medicina: un foglietto su cui scrivono "se appena svegli dopo aver preso questo tranquillante non poco potente vi sentite insonnoliti o con la testa che gira, non mettetevi a guidare o a manovrare macchinari pesanti". Davvero, dice così. Da lì sarei voluta partire per commentare su come essere malati visto da fuori par sempre un dramma lacrimoso, ma quando ci sei dentro sia soprattutto una gran seccatura: dei sintomi che hanno un sottile lato da slapstick comedy, come una pila ben ordinata di piatti e bicchieri che rovina a terra con fracasso e un'eco di fracasso per una buccia di banana ti impedisce di dedicarti ai tuoi piani per il pomeriggio di persone da amare, idee da creare e mettere in bella forma, minuzie in cui deliziarsi (son tre giorni che voglio andare a farmi una ceretta all'inguine, e due giorni che una crisi mi butta a terra - beh, sul divano o a letto - con tutti i miei sensi, gli assi cartesiani della stanza e la mia livella dell'orecchio interno, e persino l'immagine di me stessa, che fanno la fine di quella pila di piatti: sempre regolarmente dopo pranzo: crisi importuna, la odio!); e poi angolini di surrealismo ("We are now bleeding from 7:30" - Beckenham Hospital, mi ha fatto perdonare l'infermiera che usa gli aghi-oleodotto per i prelievi; il mio incubo con la Morte e Barney il dinosauro - ok, ci siam capiti, il marito sghignazzava che manco uno sketch dei Monty Python). Infine, certo: c'è il dolore che si impossessa di alcuni istanti rendendoli neri e informi come batuffoli di bambagia imbevuta di pece: ma dentro c'è il nulla, e una volta passati spariscono nella lontananza, diventando quasi indicibili (o forse lo sono per me).

A metterla giù così sembra che tu voglia fare quella che ha verve a tutti i costi, ma è un dato di fatto che alla fine la vita prenda sempre il sopravvento - lo fa persino ai funerali, e tu che ci puoi fare? Puoi sperare che la prossima medicina funzioni meglio (questa mi lascia molti sogni, e soprattutto troppi con Barney il dinosauro), e abbia un bugiardino altrettanto divertente.

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Ehi, alla fine il post poi l'ho scritto, sia pure annidato così. Così lo lascio, eh, sto già rimettendoci mano alle cinque di notte - sì, il sonnifero non mi fa più decisamente alcunché, mi son svegliata un'ora e mezza fa con un mezzo attacco di - boh, non so dargli un nome, ma scalciavo come un mulo (disturbo bipolare e tono muscolare dei glutei: ci sarebbe un articolo da IGNobel da scrivere). Ora sto bene, tranquilli, quando sto male non scrivo - o di solito ho la prontezza di cancellare quel che ho scritto. Alla faccia vostra, crisi. [gestaccio]

Ma ora il post finisce, con un consiglio non richiesto e molto banale: se non l'avete mai letto, prendetevi un paio di pomeriggi in compagnia di The Hours. Il libro è meglio del film. Ma non è che il film sia brutto: è solo che il libro è profondamente, incantevolmente vivo e vero.

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Violetta.
** Di solito non uso i nomi proprî e basta per parlare di personaggi celebri, lascio il privilegio ai loro amici nella vita privata***. Qui uso Virginia per "il personaggio Virginia Woolf nel libro The Hours di Michael Cunningham, e nel film da questo tratto".
*** C'entra poco, eh. I matematici che ho incontrato hanno quest'uso peculiare di chiamare e farsi chiamare tutti per nome proprio parlando de visu o dell'essere umano (es. "al convegno c'è anche Christos"****), e citarsi per cognome senza riferimenti al nome proprio (o addirittura al proprio nome, parlando di sé in terza persona come autore di un articolo - es. "questo articolo di Papadimitriou").
**** Sì, Buddy Christ. Ok, sto divagando troppo.
***** Penso che con mia madre rideremo ancora per anni raccontandoci come perdemmo per strada il carro funebre della nonna (sua madre). Non è poi 'sto gran racconto, eh: chinque sia passato per Viale Certosa può immaginare da sé come nel turbamento del lutto e negli automatismi da trent'anni di guida per Milano e nella varietà delle strade possibli in zona sia potuto capitare.

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venerdì, settembre 14, 2007

Incidentalmente.

Mercoledì sera atterro a Malpensa. (Il marito arriva sabato pomeriggio, però.)

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giovedì, settembre 13, 2007

Costruzione della fiducia medico-paziente.

Parte prima (non far finta, non prenderti per i fondelli).

"Dovresti avere sempre più giorni buoni, e verso Natale esserne fuori o quasi." "Ok, e poi?" "Poi starai bene." [sorriso] "E poi, può tornare?" "Lo sai anche tu che probabilmente ritornerà." [Mi hai beccato.] "Uhm." "Ma per ora siamo stati al minimo con le dosi delle medicine, quindi abbiamo ampî spazi di manovra, e..." [Se potevi far qualcosa di più perché mi fidassi di te come dottore, l'hai appena fatto, non occorre che mi racconti anche come si chiamava la nonna di John Cade.]

Parte seconda (non c'è un momento sbagliato per la slapstick comedy).

"E' fondamentale che tu regoli il ritmo sonno-veglia. Quello che ti prescrivo questa settimana non è particolarmente forte, ma prendilo quando stai per andare a letto. Ha un effetto rapido. [scribacchia la ricetta] Lo so perché l'ho preso. [firma] Mi sono addormentato mentre stavo parlando. [consegna la ricetta] Alla settimana prossima, e saluti al marito."

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martedì, settembre 11, 2007

Benvenuto, e buon viaggio.

Il sito di Sappiano Le Mie Parole Di Sangue, romanzo di Babsi Jones, è online.

(Vado a perdermi nel labirinto.)

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lunedì, settembre 10, 2007

Non so se sto per prendere la migliore opportunità della mia vita e buttarla giù per il cesso (pardon my French), se sto comportandomi da adulta responsabile che non promette quel che non può mantenere o da figliadipapà viziata e pigrona; se sto facendo la malatina lagnosa, se sto prendendo coscienza (quasi orgoglio, nel senso positivo del termine) di una di quelle cose che qui in Albione chiamano disability, qualcosa con cui fare i conti e (di nuovo chiedo scusa per il dolce stil novo) a cui fare un culo a capanna. Non so se sto rinunciando a una lotta o se sto tagliando via le scuse per non buttarmi in una battaglia più fondamentale.

E comunque so che io credo ai miracoli, ma non penso che farci conto per la scrittura di una tesi in una settimana sia una grande idea.

Vado a dirlo al Teutonico Relatore questo pomeriggio, dopo che lui si è fatto in otto per farmi avere ogni genere di proroga. Mi ci sento comunque un verme. L'incontro è previsto per subito dopo (cinque fermate di Tube dopo, per la precisione) quella che sarà una istruttiva discussione sui temi "allora, hai dormito per più di cinque ore a fila ma meno di dodici al giorno?" e "che cazzo faccio quando sono così disorientata da sembrare l'alieno che ha pappato l'hippie alla fine di uno dei migliori episodi di Futurama"*.

Wish me luck.

* Se non seguite il riferimento, seguite il link - c'è una trama abbastanza dettagliata. Se parlate tedesco, qui c'è la scena in questione.

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lunedì, settembre 03, 2007

Chaltrons for London.

Un'ulteriore prova del fatto che Repubblica.it non impieghi più tanti giornalisti quanto addetti alla lettura e traduzione (approssimata) di tabloid stranieri? Un articolo sullo sciopero degli addetti alla manutenzione della Tube di Londra, in evidenza tanto quanto dei fatti di cronaca italiana. Ma ovviamente nulla di notizie estere vere.

L'articolo, poi, toglie ogni dubbio: due misure di comunicato stampa, una misura di ultima edizione dell'Evening Standard letta di sfuggita, una misura di trivia tirati giù da wikipedia - ma giusto i primi due paragrafi della voce.

Ah, un rapido controllo sul sito di TFL informa come le linee in funzione siano Jubilee e Northern, non Jubilee e Piccadilly; e una cartina da turisti qualsiasi mostra come il tracciato della Piccadillly sia più Est-Ovest che Nord-Sud (la Jubilee, invece, direi SE-NNW). Ma son dettagli, come la precisione o l'integrità professionale.

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sabato, settembre 01, 2007

Depressione Zen.

RdMarito: "Ehi, hai fatto centro!"
RdM: "E' che mi sento tutt'uno con il fazzoletto usato e con il cestino della spazzatura."

[Seguono risate.]

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